1. Pensierino del 14 aprile 2008

E' trascorso un anno da quando sono in pensione, e di fatti ne son successi. Naturalmente in positivo, visto che la fortuna continua a baciarmi. Le mie soddisfazioni riguardano principalmente il lato letterario e quello lavorativo (intendasi lavori di casa). Ma ultimamente mi si è aperta un'altra porta, che andrò a spiegare più avanti, tanto da inserire nel resoconto un po' di suspense.

Mi accorgo solo ora che in pratica sul sito sto scrivendo il mio diario: pensieri che dovrebbero essere per me e invece io li pubblico. Dovrei preoccuparmi… Invece mi sento tranquillissimo, perché di quello che scrivo, niente lede il mio onore, ed anzi dovrebbe stimolare negli altri una vita più serena per come la vivo io. Solo questione di fortuna, rispondo a chi mi chiede perché sia così sereno. Fortuna, e poi un carattere che mi “costringe” a vivere una vita emarginata, cioè autosufficiente, senza chiedere continuamente l'aiuto del prossimo. Un carattere che mi rende appagato di ciò che già possiedo, che mi fa trarre le mie continue soddisfazioni da ciò che la vita da sempre mi ha insegnato. Vale a dire che se mi arrangio a scrivere, da questo traggo la mia felicità quando ricevo qualche premio; se poi mi arrangio a fare il fabbro, il muratore eccetera, è con i summenzionati lavori di casa che mi diletto. Insomma sempre la mia vita è improntata a questa serenità.

Facendo una digressione: quante volte mi sono detto di non parlare di me, di non scrivere di me come sto facendo ora, eppure ci cado sempre, tradendo la mia presunzione. Si dovrebbe scrivere e parlare di argomenti terzi, dove la prima persona non venga neppure accennata. Ma come si fa, dico io adesso, se devo scrivere sul sito avvenimenti che sono capitati proprio a me?

Torniamo all'aspetto pratico della cosa. Con i premi letterari finora ho vinto con racconti, libri, commedie, ma mai con poesie. Ebbene, quest'anno al concorso “Penna d'autore” di Torino, sono arrivato in semifinale anche con una poesia, pubblicata sull'antologia del Premio. Con lo stesso concorso mi sono pure classificato al quinto posto con il racconto “La maestra”, una storia ispirata ad una gentile e fine persona, appunto la maestra Marchiori del mio comune. L'undici maggio dovrei andare a ritirare il libro, il diploma e la caratteristica piumetta d'oca. Ma proprio quei giorni sarò in Germania, a Berlino nella fattispecie. Allora ho scritto perché mi spediscano i premi a casa.

Fin qui i premi letterari. Ma l'evento di cui parlavo prima tratta di un altro mio hobby: le invenzioni in ferro. Ebbene, per caso vidi alla televisione un frammento del programma “Uno mattina”, proprio quando un inventore stava presentando la sua creazione, e sotto la didascalia che scorreva dicendo che chi avesse qualche invenzione utile poteva scrivere a loro. Dopo qualche giorno di titubanza mandai una e-mail alla Rai, dicendo tra l'altro che quello che avevo “inventato” era un attrezzo grezzo, costruiti con ferro vecchio raccattato dal magazzino vicino casa mia. Dopo pochi giorni il dott. Guido Pacifici mi telefonò per invitarmi in Rai; chiaramente sorpreso ribadii l'aspetto della invenzione (il portaombrelli da bici), ma lui rispose che non dovevo preoccuparmi, che la portassi, che lui l'aveva visto sul mio sito e che gli era piaciuta. Che portassi anche il leggio, e poi altre invenzioni visto che ero così prolifico. Accettai. Da quel momento il cuore cambiò ritmo: avevo accettato, dovevo per forza andare in televisione.

Tralascio le prevedibili conseguenze di quella decisione, cioè la tensione che si intensificava giorno per giorno, la paura di ferirmi lavorando, e la mia dabbenaggine per avere accettato l'invito. Scrivo tutto questo anche per soddisfare la curiosità di chi si stupisce che un comune mortale possa partecipare ad una trasmissione in televisione.

Il giorno della partenza caricai la bicicletta, il portaombrelli, il leggio e la balestra e altri due oggetti nel portabagagli (per fortuna che a me piace creare marchingegni smontabili, così ci stette tutto. Misi una coperta sopra gli attrezzi e partii con Marilisa per la grande avventura.

La trasmissione era per il giorno dopo, il 24 gennaio, ma volemmo visitare Saxa Rubra appena arrivati a Roma, tanto per visitare il luogo dell'evento. Là il nostro referente ci indicò meglio l'albergo dove alloggiare. Non fu facile raggiungerlo, tanto che tra divieti e sensi unici guidai per non so quanti chilometri in più prima di arrivarci. Sistemati i bagagli (una valigia) in camera, partimmo per la visita a Roma by night. Quando tornammo cenammo, venendo additati come “quelli della Rai”, il che non guasta, era un motivo per riderci su.

Il mattino ci furono altre peripezie per raggiungere gli studi, e in questo caso è meglio che le riferisca almeno per sommi capi. Innanzitutto avevamo programmato la sveglia, il telefonino di Marilisa (mia moglie, tanto per non dare adito a equivoci) e facendoci chiamare alle 4,40 dal portiere. Sicuramente una delle tre fonti ci avrebbe svegliato.

Ci accorgemmo che, nonostante l'ora “notturna”, alla fine eravamo quasi in ritardo. Scendemmo in portineria, e il portiere non c'era. Dovevamo consegnare le chiavi, ma più che altro doveva aprirci il cancello del garage. Cercammo di qua e di là, suonammo anche il campanello che stava sul banco; ma il portiere non appariva. Intanto i minuti passavano (dovevo trovarmi agli studi alle 5,40, un'ora prima della trasmissione). Cercammo dappertutto e poi lo trovai disteso su un divano che stava svegliandosi.

Partimmo con l'auto carica di attrezzi. Era buio, e le strade deserte; ma non riuscivamo ad uscire dall'agglomerato di edifici dov'era situato l'albergo: i segnali ci facevano girare sempre intorno. Passò un bel quarto d'ora quando raggiungemmo la strada principale, quella che portava a Saxa Rubra.

Una volta giunti sul posto richiedemmo il pass, ma sul registro non c'era il mio nome. Allora chiamai al telefonino il dott. Pacifici, che ci tranquillizzò perché avrebbe risolto lui l'inconveniente. Intanto cambiarono portiere, e il secondo si accorse che il mio nome stava scritto sul registro. Ottenuto il pass gli chiesi dove fosse la palazzina B, e siccome i tempi si erano fatti cortissimi mi disse di seguire un'altra auto che stava dirigendosi proprio alla palazzina B. Ma questi pareva sfuggirmi da tanto veloce correva, così io dovevo non seguirlo, ma inseguirlo, tanto che lo persi di vista. Sempre con la moglie accanto correvamo in cerca di una lettera che ci dicesse che quella era la palazzina B. Ma non c'erano segni di riconoscimento, o almeno noi non li vedemmo; e per colmo di sfortuna non c'era nessuno in giro cui domandare.

Per farla breve, facemmo almeno due giri intorno agli studi, poi chiedemmo a qualcuno che ci indicò la palazzina. Ma non era più quella: dovevamo andare a “Uno mattina estate”, in un altro edificio. Corremmo ancora con l'ansia che saliva alle stelle per il ritardo.

Alla fine raggiungemmo il posto, dove fummo accolti con la massima disponibilità. Lo studio non era grandissimo, d'importante c'erano quattro o cinque telecamere, uno schermo gigante dove si trasmetteva il telegiornale, le telefoniste dietro una vetrina. Montammo gli attrezzi in studio (io pensavo di montarli al momento così da spiegare meglio il loro funzionamento, ma non ci fu tempo), mi presentarono la regista, mi microfonarono, oscurarono la pubblicità dei sacchetti delle immondizie e dei rotoli che mi ero portato via perché concernenti altri oggetti realizzati, e mi si disse la posizione che dovevo mantenere, tutto qua: altro che trucco sulla faccia come avevo supposto. Appena sistemato il materiale, subito vidi Eleonora Daniele, la bionda presentatrice entrare con un manipolo di tecnici e assistenti. Appena si accorse del mio ombrello aperto, ordinò agli assistenti di farlo chiudere perché portava sfortuna. Mi si avvicinò il mio referente che mi pregò di chiuderlo almeno a metà. Ma con l'ombrello così compresso, come potevo spiegare il funzionamento dell'asta che lo sosteneva?

Marilisa stava seduto in un angolo dello studio, e ci vedevamo, ammiccandoci a vicenda. Io non ero per niente emozionato: cosa incredibile!

Quando cominciò la diretta Eleonora si avvicinò chiedendo che spiegassi il funzionamento del portaombrello… (chi ha visto la trasmissione sa ogni cosa, per gli altri, tenterò di spiegare io). Io tentavo di inserirlo nella barra, ma non ci riuscivo perché era chiuso o quasi. Lei capì il mio turbamento e sciolse la sua riserva, dicendo che solo in questo caso eccezionale potevo aprirlo. Fu la mia salvezza e la ringraziai. Quando si avvicinò all'altra invenzione, il leggio da letto, io mi attardai a dimostrare come l'asta dell'ombrello girasse su se stessa inclinata, dirigendosi così in ogni posizione contro la pioggia, una funzione primaria per il marchingegno. Terminai di spiegare anche il leggio, e poi andammo sulla balestra. C'erano altre due invenzioni, che lei annunciò di spiegarle più tardi, ma non ci fu tempo. Quindi toccò a Giorgio Calabrese intervenire con la varietà di carne.

Durante la pausa, dissi ad Eleonora che essendo lei nativa da Saonara, un paese in provincia di Padova vicino al mio, quando frequentava le scuole Medie aveva per bidella mia moglie. Ne fu felicemente sorpresa, disse a mia moglie che l'avrebbe chiamata durante la diretta. Ma Marilisa negava continuamente: da sempre aveva detto che lei non sarebbe andata in trasmissione. Fattostà che quando Eleonora invitò Calabrese, il colonnello Morrico (meteorologo) e me per il finale, annunciò in diretta la curiosa coincidenza e chiamò mia moglie, che a questo punto non poteva sottrarvisi. Fu così che anche Marilisa, nonostante tutto, apparve nel programma. Eleonora mi fece fare un ultimo giro con la strana bicicletta nello studio, e così finì il mio compito.

Poi io, mia moglie ed Eleonora andammo in una stanzetta dove si trovavano pasticcini, caffè, cioccolata eccetera; e là loro due parlarono amichevolmente del periodo della scuola.

Ci fecero firmare la liberatoria ad entrambi ed uscimmo dagli studi con i nostri attrezzi, che ammassammo nel portabagagli della macchina, sempre sotto l'occhio discreto del dott. Guido Pacifici, che salutai, ringraziandolo vivamente per la straordinaria esperienza che mi aveva fatto provare.

Dopo qualche giorno mi telefona un giornalista di Cronaca Vera, Tommaso Vitali Rosati. Dicendomi che una sua collega aveva visto alla televisione un simpatico personaggio che presentava le sue invenzioni, ero io. Cronaca Vera è un settimanale dalle tinte fosche, ma dove dentro c'è sempre un bell'articolo di Rosati che parla di inventori e simili. Dopo qualche giorno venne a casa mia e mi fotografò con le mie invenzioni (a casa ne ho una ventina!). Gli mostrai anche del materiale che riguardava il mio hobby letterario, così lui fece un articolo a tutto tondo, ritenuto splendido da chiunque lo avesse letto, e da me in particolare, dove apparivo come un raro personaggio poliedrico.

Come si dice: una cosa tira l'altra, e così il mattino stesso dell'uscita del servizio sul giornale (io dovevo ancora leggere l'articolo, stavo scrutando le fotografie), mi telefona una radio di Roma di cui non ricordo il nome, dicendo che aveva letto il bell'articolo su di me, e che desiderava farmi un'intervista in diretta la sera.

Dopo poco mi telefona anche la Rai , dicendomi se volevo partecipare alla trasmissione “Festa italiana”. Risposi che ero già stato in televisione, e lei a chiedermi se non mi piaceva di andare anche alla loro trasmissione, e che se proprio non volevo sarebbero venuti loro da me. Mi dette tempo fino a sera per decidere. Ne parlai con mia moglie, che mi sconsigliò di imbarcarmi ancora in una faticaccia per andare a Roma. Così declinai l'invito; al che lei mi chiese quanto distava Mestre da casa mia, dicendomi che allora sarebbero venuti a casa mia. Proprio stamattina ho avuto la conferma: la Rai arriverà qui venerdì 18 aprile.

Alla sera ci fu l'intervista telefonica con la radio di Roma. Fu un cordiale e divertente colloquio; alla fine la presentatrice mi chiese perché non brevettavo le mie invenzioni. Risposi perché ero pigro. Lei sorrise, visto che poco prima avevo confessato di essere sempre in attività.

Giusto una settimana fa mi decisi a brevettare almeno il leggio. Mi misi all'opera, ma non sapevo come fare: andai in Internet, alla Camera di Commercio di Padova, ci navigai sopra, ma non approdai a qualche spiegazione per poter brevettare. Telefonai ad una ditta che aveva brevettato qualcosa, ma anche qui non seppero dirmi niente in proposito. Telefonai all'ufficio brevetti di Padova, e l'ingegnere Benettin gentilmente mi ha concesso l'appuntamento per il 16 di questo mese. Come andrà?

Quello che più è invasivo è la sparizione della mia serenità, tanto decantata nel manoscritto “La conquista della serenità”. A che pro tentare di brevettare o pubblicare quando questo comporta un problema che ti affligge? A ben guardare sono giorni sottratti alla mia serenità, perché dunque non vivere sempre con quello che faccio, che è bene, che per me è bello, e non tentare di forzare il mio carattere vivendo male?

Parlando di libri ho terminato la seconda revisione dell'ultimo manoscritto, che narra la storia tragica di una famiglia del mio paese. Un libro questo che mi attrae per i suoi continui sconvolgimenti, e poi perché riguarda appunto un padre, lo stesso che mi chiese di scriverlo. Così saremo in due a presentarlo quando è l'ora, ed essendo ambientato nel mio paese dovrebbe interessare ai miei concittadini.

 

 

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